Il prigioniero

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La serie TV cult che esplora uno dei cardini della nostra esistenza: l’illusione della libertà.

Dove mi trovo? Al villaggio. Cosa volete da me? Informazioni. Da che parte state? Lo chiediamo a lei. Vogliamo informazioni, informazioni, informazioni… Non le avrete mai! È inutile, con le buone o con le cattive ce le darà. Chi è lei? Il nuovo Numero 2. Chi è il Numero 1? Lei è il Numero 6. Io non sono un numero, sono un uomo libero!

Narrazione di apertura

Raramente la fantascienza televisiva è riuscita a trattare temi profondi, che coinvolgono intimamente ogni spettatore, con lo stesso impatto del Prigioniero. Nel corso dei suoi 17 episodi, la serie costringe il pubblico a riflettere sulle proprie convinzioni riguardo alla libertà individuale. Non a caso, Il prigioniero è ancora oggi una delle serie più apprezzate dalla critica, ma soprattutto ha lasciato un ricordo indelebile negli appassionati.

Il numero 6 si confronta con il numero 2.

La figura centrale nell’ideazione e nello sviluppo di questo vero e proprio cult televisivo è senza dubbio Patrick McGoohan. L’attore, nato nel 1928 negli Stati Uniti e trasferitosi in Inghilterra in gioventù, è infatti l’interprete del Numero 6, il protagonista della serie. Inoltre McGoohan ha scritto e diretto diversi episodi, e in qualità di produttore esecutivo ha curato personalmente lo sviluppo della storia narrata nel Prigioniero. Patrick McGoohan era già popolare presso il pubblico inglese per aver interpretato nella prima metà degli anni ’60 l’agente segreto John Drake, il protagonista di Danger Man, una delle prime serie televisive di spionaggio. Trasmessa in Italia come Gioco pericoloso, Danger Man proponeva con insolito realismo storie ambientate sullo sfondo della Guerra Fredda. Malgrado il notevole successo, la produzione venne bruscamente interrotta nel 1966, agli inizi della quarta stagione. Frustrato dalle restrizioni imposte nello sviluppo del suo personaggio, McGoohan non era infatti intenzionato a riprendere il ruolo di John Drake. L’attore propose invece al presidente dell’ITC, la casa di produzione di Danger Man, un nuovo progetto televisivo intitolato Il prigioniero. L’idea alla base della serie era stata sviluppata da McGoohan insieme a George Markstein, il supervisore alle sceneggiature di Danger Man. Markstein, che aveva lavorato come giornalista durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva appreso all’epoca dell’esistenza di strutture nelle quali venivano trattenuti ex agenti segreti in possesso di informazioni preziose. Mescolando queste conoscenze con la disaffezione verso Danger Man, Markstein e McGoohan elaborarono la premessa del Prigioniero. Anche questa serie è incentrata sulle avventure di un agente segreto, ma in questo caso lo scenario è ben diverso. La storia si apre con le dimissioni di quest’ultimo dall’organizzazione per la quale lavora. Prima di riuscire a lasciare la città, un misterioso individuo inonda di gas soporifero la sua casa. L’ex agente segreto si risveglia in un luogo sconosciuto, indicato solamente come il Villaggio. Tutti gli abitanti sono contrassegnati da un numero, e al nuovo arrivato viene dato il numero 6. L’autorità suprema del Villaggio è l’invisibile Numero 1, che affida al Numero 2 l’incarico di ottenere informazioni da alcuni degli abitanti. Il Numero 6 scoprirà presto che l’intero Villaggio è sorvegliato da una fitta rete di dispositivi di controllo. Inoltre, degli “sferoidi” controllati elettronicamente impediscono qualsiasi tentativo di fuga, tramortendo o addirittura uccidendo le proprie vittime. Le autorità del Villaggio vogliono estorcere delle informazioni dal Numero 6, ma soprattutto esigono che si conformi all’ordine che vige nella comunità. Per il Prigioniero è l’inizio di una sfida impossibile per riuscire a riconquistare la libertà. Sembra che Sir Lew Grade, il leggendario presidente dell’ITC, ritenne che la serie fosse talmente assurda da poter avere successo. La produzione venne affidata per conto dell’ITC alla Everyman Films Ltd., una piccola compagnia fondata dallo stesso McGoohan insieme all’amico scrittore David Tomblin. Oltre a svolgere le funzioni di produttore, a Tomblin vennero affidate la sceneggiatura e la regia di alcuni episodi. McGoohan era convinto che il formato migliore per Il prigioniero fosse quello di una mini serie, da concludere in 7 puntate, ma la ITC era desiderosa di esportare verso il ricco mercato americano una serie di almeno 26 episodi. Alla fine, venne raggiunto un compromesso, in base al quale McGoohan si impegnava a produrre 13 episodi, dopo i quali si sarebbe valutata la possibilità di proseguire la serie.

Leggendo la premessa alla base del Prigioniero, è legittimo chiedersi se la serie vada inclusa nel campo della fantascienza. Lo stesso Patrick McGoohan ha sempre definito limitante questa definizione, affermando di aver concepito la serie al di fuori di tali schemi. Il prigioniero offre inoltre una grande varietà di stili e situazioni, pur nell’arco di soli 17 episodi. I tentativi di fuga del Numero 6 avvengono in circostanze che vedono alternarsi la spy story, l’avventura, il western, il dramma sociale e persino la commedia sentimentale. Tutte le storie sono dominate dalla sconcertante architettura del Villaggio, nella realtà il bizzarro complesso turistico dell’Hotel Portmeirion di Penryhndeudraeth (Galles del nord). Eppure, l’elemento che domina la serie è legato a uno dei ruoli chiave della fantascienza: l’esplorazione del futuro della società in cui viviamo, delle sue forze e delle sue debolezze, attraverso gli occhi del presente. L’atmosfera surreale che permea gli episodi del Prigioniero fa infatti da sfondo a una sofisticata allegoria della condizione umana, sospesa tra gli angoscianti “incubi burocratici” concepiti da Kafka e l’oppressivo futuro dipinto da Orwell in 1984. Oltretutto, le trame di alcuni degli episodi sono palesemente fantascientifiche, come pure i mezzi con cui vengono messi in pratica i tentativi di piegare la volontà del Numero 6. Ma Il prigioniero è molto di più di un esempio di distopia, ovvero di utopia negativa.

La serie propone infatti due piani di lettura paralleli, uno lineare e uno allegorico. Ad un livello più superficiale, Il prigioniero può essere considerato come la storia dell’inutile tentativo di fuga di un uomo, intrappolato da forze oscure, che cercano di spezzare la sua forza di volontà. L’identificazione dello spettatore è duplice: da una parte, come il Numero 6, è ansioso di sapere chi è il fantomatico Numero 1. D’altro canto, come il Numero 2, lo spettatore è desideroso di scoprire perché il Numero 6 si è dimesso dal suo lavoro, e quali siano le informazioni che le Autorità cercano di estorcergli. Se consideriamo invece il piano di lettura allegorico, l’inutile fuga del Prigioniero può essere considerata come simbolica del desiderio di ognuno di sfuggire al controllo opprimente di un Sistema che pretende l’omologazione. Nonostante affronti tematiche care alla corrente della fantascienza anni ‘60 nota come New Wave, la serie riesce ad essere ancora attuale. Il Villaggio sembra costituire una metafora del mondo intero, e questa metafora appare ancora più calzante al giorno d’oggi, in cui il numero e la qualità dei sistemi di controllo sono aumentati a dismisura. Così, pensando alle nostre esistenze, condizionate da numeri che ci identificano agli occhi delle Autorità, dal numero del telefono cellulare a quello della tessera sanitaria, possiamo paradossalmente essere tutti assimilabili agli abitanti del Villaggio. Non sono poche le opere che trattano, in ogni possibile sfaccettatura, questo tema. Valga per tutti l’esempio del film di Peter Weir The Truman Show.

Naturalmente, questa è solo una delle possibili intepretazioni, per una serie televisiva che confonde lo spettatore in un continuo gioco di specchi, in cui realtà e finzione non sono chiaramente delineati. In effetti, Il prigioniero ha generato controversie sin dalla messa in onda del primo episodio, ma ha sorpreso gli spettatori soprattutto con gli ultimi due episodi, in cui veniva rivelata la sorte del protagonista.

Il destino del Numero 6 era in realtà già segnato ancor prima che la serie si concludesse. Tra McGoohan e Markstein si erano create molte incomprensioni sulla direzione che la storia del Prigioniero aveva intrapreso. Markstein era desideroso di ridurne gli elementi più surreali, e soprattutto intendeva far evadere il protagonista nell’ultimo episodio. McGoohan, che viveva le sorti della serie con una passione ossessiva, decise che il Numero 6 avrebbe concluso la sua permanenza al Villaggio nella maniera più clamorosa possibile. I dissapori tra i due culminarono nell’uscita di Markstein dal progetto alla fine dei primi 13 episodi, quando la serie entrò in una pausa produttiva. Questo fatto lasciò McGoohan e Tomblin con il controllo completo della fase finale. L’episodio conclusivo, l’eccentrico La rivolta (Fall Out), sembra dimostrare che il Prigioniero sia riuscito a distruggere il Villaggio, e a tornare nella sua casa a Londra. Ma è veramente così? La rivolta, in un diluvio di elementi contraddittori, sembra indicare che il misterioso Numero 1 sia in realtà lo stesso Prigioniero…

Alla sua messa in onda, l’episodio scatenò la reazione furibonda dei fan di McGoohan, che si sentirono raggirati. Il prigioniero si rivelò un completo fallimento commerciale, che portò la casa di produzione di McGoohan e Tomblin alla bancarotta. L’attore non ebbe più il seguito di pubblico televisivo su cui poteva contare negli anni ’60, e preferì rivolgere le sue energie in produzioni teatrali e cinematografiche. Mentre la maggior parte degli spettatori dimostrava di non essere pronta per un prodotto come Il prigioniero, gli appassionati di fantascienza seppero apprezzare le sfide che l’opera di McGoohan offriva. Per molti intellettuali, la serie andava considerata come uno dei rari tentativi televisivi di fantascienza d’autore, e più in generale di televisione di qualità. Alcuni critici si sono sbilanciati sul significato da attribuire alla serie, e anche qui non sono mancate le divergenze di opinione e le polemiche. Per alcuni, Il prigioniero celebrava la parabola della sconfitta dell’uomo contro la burocrazia meccanizzata, per altri era una chiara allegoria del potere del singolo contro la massa della società, per altri ancora una intrigante serie di fantascienza avventurosa presa un po’ troppo sul serio. In Italia, la serie ha conosciuto più repliche fino agli anni ’80, creando una piccola ma ostinata schiera di estimatori.

L’argomento chiave del Prigioniero è certamente il concetto di libertà. Che cos’è esattamente, la libertà? Esiste davvero? Patrick McGoohan sembra offrirci soltanto domande, lasciando la sua opera aperta a molteplici speculazioni. Uno dei cartelli affissi nel Villaggio recita la seguente massima: “Le domande sono pesi per gli altri, le risposte una prigione per noi stessi”. Forse la verità è che Il Prigioniero rifiuta di essere intrappolato in schemi angusti, tanto quanto il suo protagonista non accettava di essere “inquadrato, catalogato, indirizzato, programmato, riprogrammato e numerato”. E forse, sembra suggerire l’ultimo episodio della serie, non saremo mai veramente liberi finchè saremo prigionieri della nostra stessa mente.

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