Esistono universi paralleli? La teoria delle stringhe e il multiverso

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L’idea che esistano molteplici universi paralleli è stata sfruttata innumerevoli volte nella fantascienza, ma sarà mai possibile scoprirne l’esistenza?

Affinché a questa domanda ci sia una risposta positiva è necessario immaginare che universi paralleli possano avere un qualche tipo di interazione tra loro. Un universo parallelo completamente isolato dal nostro non potrà mai essere osservato in alcun modo, per cui rimarrebbe soltanto un’ipotesi nella nostra mente. In altre parole è necessario che i diversi universi coesistano in una sorta di “universo padre”. Ad esempio se ipotizzassimo un universo a più dimensioni rispetto alle quattro a cui siamo abituati (3 spaziali e il tempo), avremmo la sovrapposizione di due o più universi che coesistono nello stesso spazio ma su un’altra dimensione. Immaginiamo uno spazio bidimensionale, una superficie. Due oggetti bidimensionali, ad esempio due quadrati non possono occupare lo stesso spazio, ma ci basta aggiungere una terza dimensione e possiamo posizionare i quadrati uno sopra l’altro, in modo che occupino lo stesso spazio bidimensionale. Quindi se il nostro universo avesse una quinta o più dimensioni sarebbe plausibile l’esistenza di altri universi paralleli. Ma questo è propio quello che prevede la teoria delle stringe, che nella sua formulazione attuale più accreditata di dimensioni ne prevede 11. Ma facciamo un passo indietro.

La relatività

Il pensiero filosofico greco descriveva il mondo come composto da quattro elementi fondamentali: fuoco, terra, aria e acqua. Il bisogno di trovare una descrizione, possibilmente semplice ed elegante, del mondo che ci circonda quindi accompagna l’uomo fin dall’antichità e non è venuto meno. Ancor oggi i fisici di tutto il mondo sono impegnati nell’elaborazione di una “teoria del tutto”, una teoria matematica che sia in grado di descrivere completamente il nostro universo sia a livello macroscopico, che microscopico. Quando Isaac Newton nella seconda metà del 1600 sviluppò la legge di gravitazione universale, rivoluzionò la fisica. Infatti la sua legge descriveva tanto il moto di una mela che cade da un albero, tanto la rotazione della Terra attorno al Sole, con un’unica formula matematica. L’universo apparve come un posto più ordinato, regolato da leggi e costanti uniche. Una rivoluzione altrettanto grande fu quella di Einstein all’inizio del 1900, che con la sua teoria della relatività (prima ristretta e poi generale) riuscì a conciliare l’elettromagnetismo e la meccanica classica. Le formule di Einstein infatti spiegano perché se lancio un sasso da un treno in movimento la velocità del sasso è la somma di quella che gli ho impresso io e quella del treno, mentre se accendo una torcia sempre da un treno in movimento la velocità di propagazione della luce della mia torcia  è la stessa che avrei avuto accendendo la torcia da fermo (ed è costante). L’universo sembrava ancora una volta un posto più ordinato.

La meccanica quantistica

Nel frattempo però si sviluppò sempre più la tecnologia e inziarono le sperimentazioni sulle particelle che compongono gli atomi di cui è fatta la materia. Ma i risultati sperimentali portarono con sè nuovi problemi: a livello subatomico, la relatività di Einstein non funziona. Un elettrone dovrebbe collassare sul suo protone e non girargli intorno. Serve quindi una nuova teoria e lentamente viene raffinata la meccanica quantistica. Le particelle subatomiche infatti mostrano dei fenomeni inaspettati: in alcune circostanze si comportano come materia, mentre in altre come un’onda di energia. Questa caratteristica infatti prende il nome di “dualismo onda-particella”. Questo comportamento è completamente  in contrasto con la nostra esperienza quotidiana nel macrocosmo. Se le particelle subatomiche sono una specie di pallina, come possono mostrare fenomeni di interferenza tipici delle onde? Immaginate due sassi gettati contemporaneamente in uno stagno: ci saranno punti in cui le onde che creano sulla superficie dell’acqua si sommano e punti in cui si annullano. Le particelle subatomiche mostrano fenomeni di interferenza simili. A quanto pare l’universo sembrava un posto regolato da leggi diverse a seconda della scala di grandezza presa in considerazione. Le regole che valevano per il microcosmo, non valevano per il macrocosmo e viceversa.

Teoria delle stringhe

Ma ai fisici non piace un universo così caotico. Ci deve essere un modo per far rientrare tutti i comportamenti osservati in un unico grande schema, chiamato appunto Teoria del tutto. In questo momento la teoria delle stringhe (e la sua evoluzione) è una delle migliori candidate a diventare una teoria del tutto. La strada però è ancora lunga. La teoria delle stringhe infatti immagina che le particelle non siano delle “pallette”, ma dei sottili filamenti monodimensionali (stringhe appunto) chiusi ad anello (in alcune varianti possono essere anche aperti). Un filo chiuso ad anello infatti possiede una sua frequenza di vibrazione, così come la corda di una chitarra vincolata agli estremi può vibrare solo su certe frequenze e armoniche. Questi anelli quindi interagirebbero tra loro con meccanismi simili a quelli ondulatori. Non solo: particelle apparentemente distinte potrebbero essere spiegate come diverse vibrazioni delle stringhe, che quindi conferirebbero diverse proprietà alla particella. La teoria delle stringhe è stata proposta per la prima volta nel 1968 da un fisico italiano, Gabriele Veneziano. Nel corso degli ultimi 50 anni è stata più volte abbandonata per poi essere ripresa, ed è stata notevolmente rifinita. Negli anni ’80, sviluppando le formule matematiche che sottostavano alla teoria delle stringhe, sembrò evidente la conclusione che esistessero 5 teorie separate, con caratteristiche anche molto diverse tra loro, e non era chiaro quale di queste 5 descrivesse il nostro universo. Negli anni ’90 il fisico statunitense Edward Witten insieme ad altri giunse alla conclusione che le 5 teorie sviluppate altro non erano che casi limite di un’unica macroteoria, in grado di contenerle tutte. Witten chiamò il suo modello Teoria M, ma non ha mai svelato per che cosa stia la ‘m’ (“teoria madre”, “teoria misteriosa”?). Quindi un’unica teoria, basata sempre sul concetto di stringhe, affiancate da oggetti simili a due dimensioni (superfici) o più dimensioni, che potrebbe spiegare tanto il comportamento delle particelle subatomiche, quando l’evoluzione del cosmo. Uno degli aspetti più affascinanti è che questa teoria consente anche il calcolo di quante dovrebbero essere le dimensioni dell’universo in cui viviamo. E la risposta non è 4, quelle a cui siamo abituati, bensì 11! Non solo: sempre secondo questa teoria, alcuni tipi di particelle possono passare da una dimensione all’altra.

La Teoria M non è stata compresa ancora a fondo e saranno necessari decenni prima che venga sviluppata correttamente. Oltretutto è necessario trovare un qualche modo di verificare sperimentalmente l’esistenza stessa delle stringhe, cosa che con le attuali tecnologie non siamo ancora in grado di fare. Tuttavia, ancora una volta, la realtà rischia di superare la fantasia.