Ai confini della realtà

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Ripercorriamo la storia di una delle pietre miliari non solo della fantascienza, ma della TV in generale.

C’è una quinta dimensione oltre a quelle che l’uomo già conosce,
è senza limiti come l’infinito e senza tempo come l’eternità.
È la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione,
tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere.
È la regione dell’immaginazione, una regione che si trova…
AI CONFINI DELLA REALTÀ

Narrazione d’apertura
Il logo-titolo italiano della serie.

Ai confini della realtà serie Tv

Immaginate di passeggiare tranquillamente in una graziosa cittadina. Il tempo è splendido e il posto è accogliente, ma l’atmosfera è stranamente tranquilla e silenziosa; le strade e le piazze sono assolutamente deserte. Entrate in un locale attirati dalla musica di un juke-box in funzione, e il rumore di una caffettiera sul fuoco vi indica che il caffè è pronto, ma anche il locale è vuoto e dietro al bancone non c’è nessuno. Udite un telefono squillare ma all’altro capo non c’è nessuno che abbia chiamato, trovate un mozzicone di sigaretta ancora acceso e nessuno che possa averla fumata. Al cinema viene proiettato un film, ma non ci sono spettatori… questo è solo uno degli incubi narrati negli episodi della storica serie televisiva The Twilight Zone, conosciuta in Italia come Ai confini della realtà. La serie tv è stata prodotta e trasmessa negli Stati Uniti dal 1959 al 1964, ed è considerata al giorno d’oggi una pietra miliare della fantascienza televisiva. In Italia, almeno inizialmente, la programmazione fu sporadica e frammentata, ma in tutti coloro che si imbatterono in qualche episodio, le atmosfere stranianti e terrorizzanti delle storie lasciarono una traccia indelebile.

Per conoscere le origini di questo cult televisivo è necessario tornare indietro al 1957, quando uno sceneggiatore di nome Rod Serling concepì l’idea di una serie antologica, ovvero senza protagonisti fissi, di ambientazione fantasy e fantascientifica. Serling, frustrato dalle eccessive limitazioni imposte dagli sponsor, tipiche della TV degli anni ’50, credeva che delle storie di ambientazione fantastica avrebbero consentito maggiore libertà espressiva, svincolandosi, almeno in apparenza, da qualsiasi riferimento alla realtà politica e sociale di allora. L’idea, accompagnata dalla sceneggiatura per l’episodio pilota, venne sottoposta all’emittente televisiva CBS. I dirigenti tuttavia erano dubbiosi sulle potenzialità della serie e decisero di realizzare il pilota inserendolo in un’altra serie antologica: Westinghouse Desilu Playhouse. L’episodio, intitolato “The Time Element”, riguardava un viaggio a ritroso nel tempo fino al 1941, nel giorno precedente al famoso attacco di Pearl Harbor. L’idea ebbe successo, e la CBS diede il via alla produzione regolare della serie. Il 2 ottobre del 1959 Ai confini della realtà venne trasmesso per la prima volta, con un episodio intitolato “La barriera della solitudine” (“Where is Everybody?”): complessivamente saranno trasmessi 156 episodi.

“Gente come noi” (ep. 1.25)

Delle cinque stagioni prodotte, le prime tre sono senza dubbio quelle più memorabili e contengono gli episodi migliori. Il peggioramento di qualità che si è verificato dalla quarta stagione è in parte dovuto al cambiamento di formato deciso dalla CBS; infatti la lunghezza degli episodi, che fino ad allora duravano 25 minuti, fu espansa a 51 minuti. Il maggior respiro concesso alle storie, se da un lato garantiva un migliore sviluppo dei personaggi e della trama, dall’altro non consentiva l’immediatezza tipica degli episodi precedenti, che immergevano lo spettatore in un’atmosfera surreale già dalle prime battute. Dei 18 episodi da un’ora realizzati, solo la metà possono considerasi riusciti, e per la quinta stagione la lunghezza fu di nuovo ridotta a 25 minuti, nella speranza di risollevare le sorti della serie. Ormai era troppo tardi: le storie erano intrappolate nei soliti clichés, e la vitalità degli episodi precedenti, malgrado qualche eccezione, era scomparsa. Lo stesso Rod Serling era sempre meno coinvolto nella produzione e lo scarso successo di pubblico dell’ultima stagione determinò, nel 1964, la chiusura definitiva della serie.

Nel frattempo in Italia avevano già fatto la loro comparsa i primi episodi, in una giovane e solitaria emittente televisiva: la RAI. Ai confini della realtà, raggiunse per la prima volta gli schermi italiani nel 1962, mentre la serie era ancora in produzione negli Stati Uniti. Complessivamente la RAI ha trasmesso dal 1962 al 1970 soltanto 25 episodi scelti tra le prime quattro stagioni. Nel lontano 20 Luglio del 1969, in attesa del collegamento con l’Apollo 11 che portava i primi uomini sulla luna, vennero proposti due episodi della serie: “Ore perdute” (“The After Hours”) e “Chi è il vero marziano?” (“Will the Real Martian Please Stand Up”). Successivamente la serie scomparve dalla RAI, per poi ricomparire nei primi anni ’80, sull’emittente televisiva privata Italia 1. In questa occasione vennero trasmessi e replicati varie volte solo episodi da mezz’ora (78 in tutto), provenienti dalle prime tre stagioni. Tutte le puntate precedentemente messe in onda dalla RAI sono state riproposte, ad eccezione dei 6 episodi da un’ora della quarta stagione: questi, dopo la loro prima trasmissione degli anni ’60, non sono mai stati replicati.

“Immagine allo specchio” (1.21)

Negli Stati Uniti nel frattempo le vicende di Twilight Zone proseguirono. Malgrado la chiusura della serie, e gli scarsi risultati dell’ultimo anno, Rod Serling credeva ancora nelle potenzialità della sua idea, e decise di proporla ad altre case di produzione. Dato che la CBS deteneva ancora i diritti sul nome Twilight Zone, il formato doveva essere leggermente alterato. La nuova serie sarebbe stata più orientata verso l’horror, e ciascun episodio sarebbe stato preceduto da una breve introduzione ambientata in una galleria d’arte. Ogni puntata, della durata di un’ora, avrebbe contenuto più storie, da due a quattro, ciascuna associata ad un dipinto della galleria. La Universal accettò la proposta, e l’8 Novembre del 1969, sull’emittente NBC, fu trasmesso l’episodio pilota di Rod Serling’s Night Gallery. Uno dei tre segmenti di cui è costituito l’episodio fu diretto da un giovane regista alla sua prima esperienza: Steven Spielberg. Sfortunatamente, Night Gallery si trasformò presto in una grande delusione per Serling. La sua influenza sulle storie si riduceva episodio dopo episodio, e le sue sceneggiature subivano spesso pesanti modifiche. I produttori non erano interessati a realizzare un altro cult televisivo, bensì volevano una trasmissione di massa che riscuotesse un immediato successo. Per la fine della seconda stagione gli episodi si erano trasformati in brevi film d’orrore di serie C e Serling era fermamente intenzionato ad abbandonare il progetto. Vincolato da contratto, fu costretto a presentare anche la terza ed ultima stagione, nella quale gli episodi furono ridotti a mezz’ora. La serie si concluse nel 1973, complessivamente erano stati realizzati 47 episodi.

Due anni più tardi, il 28 Giugno 1975, Rod Serling morì, ma la storia di Ai confini della realtà era tutt’altro che conclusa.

“Tre uomini nello spazio” (1.20)

Nel 1983 la Warner Bros produsse un film ispirato alla serie televisiva intitolato Ai confini della realtà – Il film; tra i produttori figurava il nome di Steven Spielberg. Il lungometraggio era composto da quattro storie, una originale e tre rifacimenti di vecchi episodi. Il risultato fu piuttosto deludente, e il film è ricordato principalmente per il tragico incidente che si è verificato durante le riprese, nel quale tre attori, tra cui due bambini, persero la vita. Sebbene il successo commerciale non fu grandissimo, fu sufficiente a spingere la CBS, che deteneva ancora i diritti sul nome, a considerare la possibilità di un ritorno della serie sugli schermi televisivi. Il 27 Settembre 1985 debuttò una versione rinnovata di Ai confini della realtà, con una prima stagione di episodi da un’ora. Come era già accaduto per Night Gallery, ciascun episodio conteneva più storie che, occasionalmente, erano rifacimenti dei vecchi episodi. Malgrado il limitato successo di pubblico la serie fu rinnovata per una seconda stagione, e la durata degli episodi fu ridotta a mezz’ora. Sfortunatamente la qualità delle storie peggiorò e l’audience scese al di sotto dei limiti previsti, tanto che, alla fine della seconda stagione, ne fu decisa la chiusura. Tuttavia il numero limitato di episodi prodotti impediva le lucrose repliche giornaliere e, con una mossa a sorpresa, anche una terza stagione fu commissionata. Il budget fu ridotto al minimo indispensabile, e le riprese furono realizzate in Canada, dove le strutture erano più economiche. Altri 30 episodi da mezz’ora si aggiunsero al pacchetto di quelli già prodotti, realizzati esclusivamente per fare numero. La serie si chiuse nel 1988, complessivamente gli episodi prodotti erano stati 73. La nuova Ai confini della realtà, giunse presto anche in Italia, e i primi episodi furono trasmessi già alla fine degli anni ’80. Di seguito sono stati replicati numerosissime volte da varie emittenti locali.

La successiva incarnazione della serie consiste in uno speciale di due ore realizzato nel 1994 dalla CBS. Rod Serling’s Lost Classics contiene due episodi basati su sceneggiature originali di Rod Serling, scritte per la vecchia serie e mai realizzate. In Italia lo speciale è stato pubblicato in videocassetta.

“Cinque personaggi in cerca di un’uscita” (3.14)

Un giudizio complessivo su Ai confini della realtà risulta difficile, considerata la varietà di personaggi e situazioni presentate. Lo stile degli episodi variava dalla commedia al giallo, dall’orrore al fantascientifico, dal fantastico ad altre combinazioni che non ricadono in nessuna di queste categorie. L’ambientazione poteva ridursi a una sola stanza chiusa o abbracciare un intero pianeta; poteva essere nel presente, nel passato o in un futuro remoto. Forse proprio tale varietà ha costituito una delle chiavi del successo della serie; le suggestive narrazioni iniziali immergevano lo spettatore ogni volta in una situazione diversa e coinvolgente. I protagonisti delle vicende sono in genere delle persone comuni, che, loro malgrado, si ritrovano coinvolte in eventi e fenomeni fuori dall’ordinario. Questo meccanismo favorisce molto l’immedesimazione da parte dello spettatore, e rende più credibili le storie. Anche gli argomenti trattati sono estremamente vari, tuttavia è possibile evidenziare alcune tematiche principali.

Uno degli episodi più famosi, “È bello quel che piace” (“The Eye of the Beholder”), propone una tesi tanto semplice quanto sconcertante: se vivessimo in un pianeta popolato da persone deformi, faremmo di tutto per apparire deformi anche noi. Quello che riteniamo essere la nostra percezione della bellezza, spesso si confonde con l’idea di conformità. La paura di ciò che appare diverso o altro, è una delle tematiche che ricorre spesso nella serie, e, sotto questo aspetto, è possibile notare una certa somiglianza con la serie di Star Trek. La stessa filosofia vulcaniana dell’IDIC (Infinite Diversità nelle Infinite Combinazioni) non è altro che un invito a considerare le diversità come un’occasione per migliorasi.

“L’astronave fantasma” (4.06)

In effetti esiste un sottile filo conduttore caratteristico della serie, un elemento che, palesemente o impercettibilmente, è comune a quasi tutti gli episodi: la paura. L’esplorazione di questo sentimento e di come esso domini le nostre azioni, è l’oggetto di molti episodi, in particolare quel genere di paura che agisce sul singolo individuo e che non può essere condiviso dagli altri. I personaggi si muovono in un ambiente spesso estraneo, la loro stessa casa diventa un posto ostile, e gli amici più cari dei perfetti sconosciuti. Questo genera un profondo orrore per ciò che li circonda, per un mondo plasmato dall’uomo ma non per l’uomo, per una sensazione molto comune nella società odierna: l’alienazione. Questa paura latente può sfogarsi in due modi: con l’isolamento, e quindi la solitudine, o con un’indomabile forza distruttiva. Da questo punto di vista, Rod Serling, al contrario di Gene Roddenberry in Star Trek, non era molto fiducioso nelle potenzialità del genere umano. Ciascuno di noi ha un lato oscuro nascosto pronto a prendere il sopravvento e a dominare in maniera incontrastata le nostre azioni, scatenando un’irrefrenabile impulso distruttivo.

Nell’episodio “I mostri di Maple Street” (“The Monsters Are Due on Maple Street”), due alieni in procinto di invadere la Terra, commentando il comportamento di alcuni esseri umani in preda al panico affermano: “Scelgono il nemico più pericoloso che conoscono: se stessi. Noi dobbiamo solo stare a guardare”.

Nota: questo articolo, che ho scritto insieme all’amico Aleksandar Mickovic, è stato originariamente pubblicato su Star Trek – La rivista ufficiale Anno 2 N. 3 (Giugno 1998) di Fanucci Editore, all’interno della rubrica “Non solo Trek”.

Articolo originale in formato PDF.

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